lunedì 28 ottobre 2019

Balbuzie: cause e rimedi


La balbuzie è un disturbo del linguaggio, che è caratterizzato da variazioni del ritmo della parola, che sono chiamate disfluenze. In pratica il linguaggio è difficoltoso a causa di continue ripetizioni, prolungamenti e arresti delle parole. Sono colpiti circa il 3% dei bambini sotto i sei anni. I bambini sono interessati 4 volte di più rispetto alle bambine. La balbuzie si chiama anche disturbo della fluenza verbale. Balbuzie: cause, conseguenze e rimedi.

Balbuzie: cosa sono le disfluenze? 

Come si diceva le disfluenze non sono altro che ripetizioni o prolungamenti delle parole. Non indicano per forza che si è colpiti da balbuzie, tanto che nei bambini sotto i 4 anni sono abbastanza comuni. Riguarda più o meno un bambino ogni dieci e nella grande maggioranza dei casi si risolve spontaneamente.

Diversi tipi di balbuzie

Ci sono differenti tipi di balbuzie:
  1. Forma clonica: quando si ha la ripetizione della sillaba;
  2. Forma tonica: avviene quando ci si arresta all’inizio della frase con allungamento della sillaba o del fonema difficile da pronunciare;
  3. Forma mista: quando c’è sia l’allungamento, sia la ripetizione. In questo caso la comunicazione è particolarmente complicata.
La balbuzie può essere classificata anche in base all’età in cui si manifesta il disturbo:
  • quella evolutiva esordisce tra i 2 e i 4 anni. In genere il disturbo del linguaggio si risolve autonomamente in pochi mesi. È causata dalla fisiologica evoluzione dell’apprendimento del linguaggio;
  • la benigna compare in media intorno ai 7 anni e mezzo. Anche in questo caso di solito si risolve spontaneamente dopo però 2 o 3 anni;
  • quella persistente può invece cominciare tra i 3 anni e mezzo e gli 8 anni ed è la più complicata da trattare.

Balbuzie: quali sono i sintomi?

 La balbuzie si manifesta con:
  • ripetizione delle sillabe;
  • interruzione delle parole;
  • prolungamento di suoni;
  • interiezioni;
  • eccessiva tensione fisica quando si pronunciano le parole;
  • contrazioni anomale di vari gruppi muscolari, soprattutto quelli interessati alla fonazione. Si verificano in genere all’inizio di una frase;
  • blocchi udibili o silenti;
  • circonlocuzioni, in pratica la sostituzione di parole per evitare parole problematiche;
  • ripetizione di intere parole monosillabiche.
Parlare implica il controllo e la coordinazione di oltre 100 muscoli contemporaneamente. Ecco perché lo studioso del linguaggio Martin Sommer ha paragonato la balbuzie al suono prodotto da un’orchestra disorganizzata: i singoli orchestrali suonano bene, nessuno strumento funziona male, ma manca il coordinamento delle singole parti che, attivandosi nel momento giusto, rendono possibile il parlare. Il balbuziente sa perfettamente ciò che vuole dire, ma non ci riesce.

Quali sono le cause?

Qualche decennio fa si pensava che la balbuzie fosse un problema legato all’emotività. Oggi si considerano una serie di concause. Uno studio americano pubblicato sul New England Journal of Medicine ha individuato tre geni responsabili del disturbo. La balbuzie ha una base genetica, come prova la forte familiarità: il 75% dei bambini che balbettano ha parenti balbuzienti. I fattori emozionali sono solo cause scatenanti in soggetti già predisposti. Ed è vero che la difficoltà a esprimersi aumenta quando i balbuzienti sono sotto pressione comunicativa, parlano al telefono o non si sentono a loro agio con l’interlocutore.

Qual è la diagnosi? Si cura?

La diagnosi può essere fatta dai tre anni di età in poi. Essendo un disturbo del linguaggio non è difficile accorgersi che il bambino abbia difficoltà nel parlare. Il consiglio è quello di rivolgersi subito al proprio pediatra per capire se si tratti di una fisiologica difficoltà nella comunicazione quando si è piccoli o se siamo di fronte a una balbuzie vera e propria. Di solito il pediatra consiglierà la visita di uno specialista della cura dei disturbi del linguaggio.
Nella visita bisognerà indagare tutti gli aspetti, dalla familiarità a traumi vissuti nel passato, anche quelli avuti durante il parto, fino a eventuali malattie neurologiche. Per effettuare la diagnosi. Occorre capire quando la balbuzie ha fatto il suo esordio, quanto siano seri i sintomi. Di conseguenza il paziente viene sottoposto ad alcuni test che possano verificare tutti questi aspetti. La terapia in media dura dai sei ai 12 mesi.

Un team interdisciplinare

Per la soluzione della balbuzie occorre mettere in campo un team, che comprenda:
  • un pediatra,
  • un logopedista,
  • un neurologo,
  • uno psicologo.
Sono molti del resto gli aspetti che devono essere presi in considerazione. Bisogna comprendere se ci siano eventuali problemi organici e quali siano le difficoltà emotive e psicologiche che stanno alla base di questo disturbo. Non va sottovalutato neppure il fatto che il balbuziente diventa una persona tendenzialmente chiusa, con una bassa autostima.
Bisogna ricordarsi che nella stragrande maggioranza dei casi ci si sta rivolgendo a un bambino. Di conseguenza è fondamentale l’approccio più accogliente e accudente possibile, in modo che non si senta né messo sotto pressione, né sopra o sottovalutato.

Balbuzie: come devono comportarsi i genitori?

La famiglia gioca un ruolo cruciale. La prima regola è non far sentire il bambino diverso per il suo disturbo del linguaggio. Ascoltarlo quando parla anche balbettando con un atteggiamento di attenzione e serenità è un passo fondamentale. Non dimostrare mai fretta, insofferenza, ansia e non finire, né suggerire mai le parole.
Può essere estremamente utile valorizzare le altre qualità del bambino in modo da aumentare la sua autostima.
Mai anticipare il bambino quando parla, completando le parole o le frasi e non interromperlo dicendogli che si è già capito. Evitare di promettere premi se riesce a parlare correttamente, mai mortificarlo davanti a parenti e amici. Dimostrare interesse verso quello che dice è imprescindibile.

Chi balbetta è più a rischio di bullismo 

La scuola riapre finalmente i battenti e ciò, per alcuni studenti, è motivo di ansia: stando a un rapporto Istat, infatti, poco più del 50% dei ragazzi tra gli 11 e i 17 anni ha subito qualche episodio offensivo, non rispettoso e/o violento da parte di altri coetanei nei 12 mesi precedenti. Nel 6% dei casi la derisione è causata dall’aspetto fisico o dal modo di parlare, tanto che i bambini con disturbi specifici del linguaggio, tra cui la balbuzie, sono tre volte più a rischio di bullismo. La balbuzie, a volte associata anche a spasmi facciali o movimenti involontari, attira l’attenzione degli altri e può far diventare il ragazzo che balbetta un facile bersaglio di scherno.

martedì 8 ottobre 2019

Non avremo più paura: Jenni Hendricks Ted Caplan

A un vero amico basta

un solo sguardo per capire quello di cui abbiamo bisogno



Non avremo più paura, un libro di Jenni Hendricks Ted Caplan

trama
Tutti conoscono Veronica come la ragazza che non fa passi falsi. Prima della classe e con l’ammissione alla Brown in tasca, sa esattamente cosa le riserverà il futuro. O almeno così crede. Finché non fallisce il test più importante, e si ritrova incinta. Un incidente di percorso di cui non può fare parola con i genitori. E nemmeno con le presunte amiche che, come lei, non ammettono imprevisti sulla strada per il successo. C’è solo una persona in grado di capirla e a cui non avrebbe mai pensato di rivolgersi: Bailey Butler. Bailey è una ribelle, non ha paura di nessuno e non si lascia mettere i piedi in testa. Veronica sa che farebbe meglio a non fidarsi di lei, ma quando Bailey le propone di partire per un breve viaggio decide di accettare. Non ha alternative. A bordo di un’auto sgangherata, le due ragazze si mettono in marcia e, tra battibecchi e maldestri tentativi di riconciliazione, macinano chilometri, rischiando più di una volta di farsi soffiare l’auto sotto il naso e sfiorando l’arresto per un’incursione notturna in uno zoo. Tappa dopo tappa, sotto cieli stellati e lungo strade che si perdono all’orizzonte, Veronica e Bailey si rendono conto che, malgrado le incomprensioni, la loro amicizia è ancora viva e possono ricostruirla tornando a essere quelle di prima. Perché entrare nel mondo degli adulti e assumersi le proprie responsabilità richiede coraggio e una buona dose di spregiudicatezza, ma la paura si dimentica, se al nostro fianco abbiamo un amico pronto a sorreggerci quando rischiamo di cadere. Jenni Hendricks e Ted Caplan firmano un esordio forte e originale che ha conquistato gli editori di tutto il mondo ed è in corso di traduzione in oltre 20 paesi. Non avremo più paura ci parla dell’amicizia che può fare la differenza nella vita di ognuno di noi. Quella che ci accompagna nell’istante in cui capiamo che non è più tempo di credere nelle illusioni, ma di guardare la realtà senza filtri, consapevoli che, a volte, sbagliare è la scelta migliore.

Jenni Hendricks è la sceneggiatrice di How I Met Your Mother.
Ted Caplan ha lavorato come sceneggiatore, produttore e editor di numerosi film, tra cui Vita di Pi, Big Fish eProva a prendermi.Non avremo più paura è il loro romanzo d’esordio.


sabato 5 ottobre 2019

Quello che non so di te: in uscita nelle librerie


Francesca Redolfi -  Quello che non so di te in uscita dal prossimo 9 ottobre

Trama

Samantha non conta più le volte in cui si è precipitata al Pronto Soccorso. Del resto, da anni ormai le parole più usate in casa sua sono “ipocondria” e “psicosomatico” al contrario di “Mamma”, la meno menzionata.
Proprio durante uno di questi momenti resta chiusa nell’ascensore dell’ospedale con un medico dagli occhi dello stesso celeste del camice, il solo capace di ritinteggiare di un bel corallo le pareti verdognole del nosocomio. Giulio, questo il suo nome, sembra capitare a proposito, perché Sam ha giurato a se stessa che sposerà un dottore, convinta che solo così potrà guarire dalla sua ipocondria.

In una Milano estiva, tra corse al triage e menzogne velate; con una coinquilina chiassosa e due sorellastre che sembrano la copia di Anastasia e Genoveffa, riuscirà Sam a nascondere la sua vera natura di malata immaginaria? E Giulio potrà amarla nonostante tutte le sue fissazioni?

Fonte: Ufficio Stampa Literary Romance


mercoledì 2 ottobre 2019

Chiedimi se sono felice: il mestiere di scrivere


La felicità: antiche e nuove filosofie si scontrano sulla base di studi e ricerche su un tema sempre attuale

Uno studio dell’Università del Maine, negli Stati Uniti, ha dimostrato l’importanza che gli zii hanno per i nipoti. Il professor Robert Milardo ha fatto ben 104 interviste a entrambi. Quali i risultati? Che lo zio è un punto di riferimento diverso dal genitore; mentre quest’ultimo educa, lo zio consiglia, aiuta, sostiene e vizia. Il rapporto è unico e speciale, rappresenta uno di quegli avvenimenti emotivi che segneranno la vita da adulto di un bambino. Un altro studio ha dimostrato che i bimbi sono più felici quando sono con i nonni e la felicità è naturalmente reciproca.

Epicuro sosteneva che non è possibile vivere felici senza condurre una vita saggia, specchiata e giusta, abbiamo la possibilità di far tesoro del pensiero grande dei nostri avi, per essere pronti in ogni momento a rispondere con chiarezza a chi ci chiede cosa sia la felicità. Silvio Pellico privato ingiustamente della libertà, dirà che anche la vita dietro le sbarre può essere bella, perché il bene vero è nella coscienza. Cosè la felicita è una bella domanda. Tanti hanno scritto, poeti e filosofi, intenditori della mente e dell’animo umano hanno detto molto sulla felicità, molto di più di ciò che si sa, e sicuramente non si può pretendere, a questo punto, di aggiungere altro!

Crescere è un mestiere difficile e al tempo stesso bellissimo, la sfida è di scrivere pagine che non saranno dimenticate, e la scrittura, credo sia in qualche modo una metafora della vita. L’espressione Scripta Manent s’inserisce bene in questo concetto, opponendosi alla parola “volante”. La vita di ognuno può lasciare un segno nella memoria e insegnare tanto, ma per chi scrive di “mestiere” è diverso. La mia esperienza di nipote non è stata male, anzi posso affermare in tutta sincerità che sia stata a dir poco straordinaria. Ricordo sempre con immenso affetto chi è stato il mio punto di riferimento diverso dai genitori, e come potrei dimenticare? Con tenerezza mi ritornano alla mente stima e ammirazione, riconoscimento, esempio e tutte le cose che ho imparato da chi ho osservato con attenzione per tutta la mia vita. Oggi, quasi tutto è pubblico, basta postare una foto con una frase qualsiasi per essere letti anche da migliaia di persone, ma per chi si siede su una sedia e spreme le meningi, sentendo tutta la responsabilità del fatto che qualcuno leggerà, le cose cambiano.

Impegnarsi a educare al pensiero è cosa assai ardua, cercare di creare un contenuto che lasci una traccia nella coscienza di qualcuno, diventare come un sassolino lanciato in un pantano, come un granello di sabbia o una goccia nell’oceano è il mestiere di scrivere. E in questo tutto c’è veramente tanto, oltre ai pensieri c’è quell’intima onestà, quel sale e quella sapienza antica e reinventata; nelle righe che scrivo, nelle più piccole particelle d’inchiostro aggrappate al foglio, c’è molto di chi porgendomi un regalo mi diceva: “Così un giorno ti ricorderai di me”, ed io che non ho mai avuto dimestichezza con le parole dette e volanti, che ho preferito sempre scrivere al posto di parlare, spostando il peso del corpo da un piede all’altro, in silenzio, con gli occhi che esploravano la volta celeste della stanza, pensavo e riflettevo, mentre la mia anima gridava “Come potrò mai dimenticarti?”. Oggi che la vita passando ha lasciato i suoi segni, non posso certo spiegare cosa sia la felicità, ma una domanda me la puoi ancora fare, lettore: “Chiedimi se sono felice”…

Giovanna Angelino - Lifestyleslow  


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